Al centro culturale di Camorino, prosegue fino il 25 aprile l'esposizione " CREATURALITÀ"
In via Ai Casgnò 11a. nei due piani che occupano una piccola parte del condominio Cà di Julì, della famiglia Donadini; sembra riviva una riflessione assai attinente, alla storia e alle radici di molti luoghi del Ticino, che non sopravvivono nelle prossime generazioni, se non nel volerli ricordare.
Le stalle dove risiedevano mucche e un cavallo, capre e conigli, ora sono abitate dalle immagini dedicate alle stesse mucche e a pecore e agnelli, l'immancabile gatto, e quella penombra, crepuscolare che ci porta sulla soglia del visibile, e dell'immaginario come destino assente e reietto.
DEBORAH TACCHELLA BENCI e LOREDANA MÜLLER hanno portato un dialogo particolare entrambe su carta di cotone, nelle due sale che caratterizzano il piccolo centro camorinense.
Fotografie in bianco nero, con lievi assunti a volte di colore lunare o serale se non notturno nella fotografa, e nella dimensione calcografica un uno a uno, dove commutando barbe e segno, inchiostrazione e colore, la Müller genera affiori, e venera pietra. quasi moti ancestrali tra liquido amniotico e corpi, o ancora metamorfosi vere e proprie. Il tentativo di rilanciare l'esposizione è anche per confermare e dare orari alla giornata del 25 aprile, dove è prevista una conferenza del dottore, analista Junghiano Daniele Benci, Si svolgerà alle 17 la sua conferenza sul tema Creatività-Creaturalità. Lo stesso sabato saremo introdotti all'esposizione da musica e canto dal vivo dalle 16 da Donatello Rossini, che riprenderà alle 18 fino alle 19 per la chiusura della esposizione. Ora tre estratti, partendo dal testo presente in sala di Gian Franco Ragno: in prima istanza,
a seguire un breve estratto da uno breve scritto di una giovanissima critica d'arte, e per terminare una introduzione della conferenza di Daniele Benci.
"... Il loro sguardo cattura - in distinte forme a dipendenza dei mezzi espressivi - le pallide e stanche luci serali, prima che siano ancora visibili le tracce, prima di lasciare il testimone alla notte. Orme, sentieri : in comune alle autrici, ancora, mi sembra di cogliere lo stesso percorso fuori dalle mura di un confine domestico, non lontani ma comunque sconosciuti - quanto basta per ritrovare una dimensione antica, originaria.
Per Deborah Benci Tachella sono gli animali (pecore, mucche) gli ideali tramiti verso una fase atemporale e astorica : essi si muovono in sequenze poetiche, un ritmo di immagini che presto diventa danza. Rimandano a simbologie antiche, a pittura di genere, senza esserlo per taglio e per inquadratura. (E più tardi, nel corso della notte, curioso e furtivo, un gatto appena uscito da un racconto di Edgar Allan Poe compare a controllare il suo invisibile regno).
Attraverso tecniche che Loredana Müller ha messo a punto negli anni – rivitalizzandole - assistiamo nelle sue opere alla nascita di una flora di segni, di un universo naturale ed empirico sotto forma di incisioni, carte e stampe. ..." Gian Franco Ragno
"...I momenti attesi al crepuscolo della Benci, immortalati dinamicamente in sfocature che dissolvono i contorni dei suoi soggetti ed al contempo ne accentuano la loro spontanea natura, si rivelano all’occhio come attimi estremamente puri. Agnelli, pecore e mucche, si incontrano, giocano, danzano, emergono da uno sfondo buio come rappresentanti della Natura volti semplicemente a vivere la propria essenza, che l’artista ha saputo cogliere, e di cui ancora si meraviglia. L’immagine fotografica qui scappa dalla sua premonizione di staticità, così come il lavoro calcografico della Müller, primordiale e metamorfico, all’apparenza intrappolato in segni, è invece una continua evoluzione. È così infatti, che nella serie calcografica ‘’Il signor Grillo…’’ (2019) vediamo dapprima l’insetto, ma subito dopo un prete;..." Margherita Arduini
Traccia della conferenza di Daniele Benci
La mostra fotografica e calcografica di Deborah Tacchella Benci e Loredana Müller dedicata alla Creaturalità offre lo spunto per una riflessione sulla crisi pandemica e sociale attuale e più in profondità sulle crisi culturali mitiche ed epocali che hanno creato, nel corso di tre millenni, l’Occidente, la sua potenza immaginale, la sua Arte e infine la Scienza e la Tecnica che ci abita.
Dopo il tramonto del politeismo greco (cosmogonia Olimpica) segnato da un formidabile sviluppo di tutte le Arti, la nostra Civiltà è transitata al monoteismo Giudaico Cristiano che ha intrattenuto un rapporto fortemente ambivalente con la produzione di immagini per oltre 1500 anni segnata dalla controversia fra iconoclasti e imaginisti risoltasi in parte solo col Concilio di Trento (1545-1563 dC).
Infine con la morte del Dio cristiano annunciata a ridosso del ‘900 nello Zarathustra dal martello filosofico di Nietzsche, si è prodotta una liberazione delle immagini e la Civiltà Occidentale è così approdata, non senza una sofferta transizione, a nuove “agenzie di significato” e così all’instaurarsi del terzo Mito: un’era dominata dalla Scienza e dalla Tecnica. Questo approdo, intervallato per breve tempo solo dai Nichilismi negativo e positivo, ha tuttavia spogliato le moderne società laiche di un senso profondo dell’esistenza. Da qui la necessità per l’uomo di rivisitare le sue scale valoriali, gli obbiettivi collettivi e individuali collocati a medio e lungo termine, infine l’etica che li regola...."
Creaturalità
e
creatività
Per una storia dell’atto creativo.
Appunti su arte, immaginazione e creatività umana.
di
Daniele Benci
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Una delle immagini di questa mostra, un mazzo di calle steso a terra con le
radici a vista, esprime al meglio l’attuale crisi sociale, pandemica e culturale che ci
serra e ci spinge a un ripensamento dei valori, dei progetti e dei fondamenti
antropologici del nostro pensare, agire, essere pensati ed essere agìti come creature e
nel contempo come creatori della nostra realtà psichica e fisica. Ci fa riflettere in
sostanza sullo stato e grado della nostra salute mentale e corporea, sulla nostra Praxis
(il fare pratico) e sulla nostra Poiesis (il fare legato all’arte). Ammettiamo che mai
come nell’ultimo secolo, come società moderna e grazie ai progressi della scienza
medica, ci siamo chinati sul tema della malattia e della bonifica delle spaccature che
la generano. Mai come nell’ottocento, dopo Ludwig Feuerbach (1804-1872; Essenza
della Religione, 1845) e dopo il crollo delle religioni dovuto alla sentenza della
“morte di Dio” per mano del martello filosofico di Nietzsche, ci siamo interrogati con
apprensione sul senso della vita umana e sul significato delle nostre singole esistenze
in rapporto al creato. Dopo loro abbiamo quindi assistito, dopo il tramonto dei miti
della Grecità e del Cristianesimo, al sorgere perentorio del “terzo mito” o della “terza
antropologia” accanto alle arti: la Scienza con la sua Teknè. Con, ma preferibilmente,
senza Dei.
E che l’arte sia riconosciuta come necessaria al nostro equilibrio psichico
quanto la tecnica è un fatto ormai scontato.
L’inconsueta parola Creaturalità è un sostantivo aggettivato che indica sia
l’essenza di un oggetto/soggetto, sia la sua caratteristica più pregnante: essere nati e
far nascere. E’ collegata all’altra parola Creatività (sostantivo) dallo stesso etimo (gr.
kraino; san. kar) che significa fare, compiere, realizzare, foggiare, generare, dare
forma a qualcosa dal nulla o dal già esistente come sostanze, idee, ecc. A questa
radice partecipa anche Kronos (il creatore) ovvero il Tempo.
L’implicazione di questi termini con tutte le arti visive, letterarie, poetiche e
concettuali è diretta: perché ci sia creazione deve esserci un creatore, ergo un
demiurgo che operi nello spazio, nel tempo e secondo un principio motivazionale
causale e finale. Il terzo millennio dunque, morti gli Dei e lo stesso Jahweh, non
sfugge all’urgenza di fornire una cosmologia che ponga nuovo ordine, legittimità e
significato all’uomo, alla sua venuta al mondo e al suo fare perché da sempre è opaca
e controversa l’origine del senso umano profondo, del suo sfondo epistemico (la
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conoscenza), filosofico, psicologico, religioso e infine antropologico. Ma solo
guardando a ritroso di 2500 anni, solo dall’incontro/scontro di Grecità e
Cristianesimo possiamo imbatterci in quella frattura antica quanto il nostro pensare
occidentale che spiega il bisogno.
Il frammento 30 di Eraclito (V sec. AC) indica e riassume la concezione
cosmologica del pensiero greco antico:
“Questo Cosmo di fronte a noi e che è lo stesso per tutti, non lo fece nessuno
degli Dèi né degli uomini ma fu sempre, ed è, e sarà, fuoco sempre vivente, che
divampa secondo misura e si spegne secondo misura”.
La Bibbia (Genesi) si apre con queste immagini formidabili:
“In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era un Caos senza forma e
vuota, le tenebre ricoprivano l’abisso e sulle acque aleggiava lo spirito di Dio. Egli
disse: sia la luce. E la luce fu. Vide Iddio che la luce era buona e separò la luce dalle
tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. Così fu sera, poi fu mattina: primo
giorno”.
Se escludiamo la matrice comune di tutte le cosmogonie e le teogonie che
distinguono tra Kaos iniziale (mescolanza disordinata, magma, ecc.) e Kosmos
(ordine, gerarchia, legge) almeno in termini temporali (Caos precede Cosmos che,
essendo de-finito e nominato acquista senso e direzione in ordine del Tempo a
Kronos), la ricaduta della diafora (distinctio o differenza) comporta due sostanze: il
declino del politeismo a favore del monoteismo e il fatto che tra un mondo sempre
esistito e un altro creato vi è l’atto volontaristico di Dio per mezzo del Verbo.
Ma vi è una terza difformità in ordine al Tempo; Ciclico e composito nel
mondo greco, Storico e limitato per il Cristianesimo col Giudizio Universale che
pone termine al Mondo. Il greco riconosceva concettualmente quattro tipi di tempo
(Kronos: quantitativo misurabile; Kairos: qualitativo e opportuno; Aion: tempo
infinito sinonimo di forza vitale, destino; Eniautos: un anno).
Rispetto al Greco il Cristianesimo introduce quindi l’idea che la nascita
dell’Universo sorga da un atto volontaristico di Dio (il Verbo) che nel contempo detta
le Leggi (il decalogo o 10 Comandamenti) alfine di regolarlo, proteggerlo e
garantirne la continuità sino alla fine stessa del Tempo con la resa dei conti finale.
Inoltre mentre nella Grecità e nell’Ellenismo, culla dell’estetica e dell’arte, non
vigeva alcuna restrizione divina in fatto di produzione delle immagini, il secondo
Comandamento originario ebraico/cristiano recita:
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“Non ti farai scultura o immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o
quaggiù sulla terra o nelle acque o sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro
perché io Jahweh, tuo Dio, sono un dio geloso che punisce la colpa dei padri sui figli
fino alla terza e quarta generazione per quelli che mi odiano e fa grazia a migliaia
che mi amano e osservano i miei comandamenti”.
L’ingiunzione divina compresa di quel “Crescete e moltiplicatevi” sovrastando
e dominando la terra e gli animali è perentoria. Ci rammenta il cinismo sarcastico di
Schopenhauer, maître a penser dell’ottocento, che inchiodava il compito umano,
quindi gli uomini, a quello di “funzionari della specie” piuttosto che di plasmatori
pensanti del Mondo attraverso Volontà e Rappresentazione.
Dunque non pensate, ma ubbidite! Non fatevi immagini ma rispettate i precetti!
Non cadete in tentazione e semmai pentitevi! Siate come gregge (pecore) guidato dal
pastore. Indistinguibili l’una dall’altra se non per i peccati.
Come a dire che gli artisti di tutte le epoche, uscendo dal gregge e dalla sua
immunizzazione, saranno maledetti. Così la libertà di rappresentarci il mondo, oggi
scontata e non di rado banalizzata, avverrà solo per mezzo di una fatica millenaria.
La proibizione di rappresentarsi il Creato condizionerà per oltre due millenni il
modo di vivere e concepire l’esistenza e le ricadute determineranno ancora una volta
il modo umano di concepire il mondo, di adattarvisi, di forgiarlo, regolarlo fin nelle
più sottili pieghe dell’etica, della morale, delle leggi e della capacità di Poesis (facoltà
creativa dell’uomo nel momento in cui si realizza soprattutto nell’attività artistica).
Nel concilio di Nicea (787 dC) si raggiunse, in parte irrisolto anche nel
Concilio di Trento del 1545-1563), il culmine della controversia tra Iconoclasti
(distruttori i immagini) e Imagisti ovvero tra coloro che condannavano l’uso delle
immagini come peccato di idolatria e coloro che legittimavano, la produzione e l’uso
delle immagini per accostarsi al divino. Questa controversia percorre trasversalmente
tutta la storia dell’arte a partire dalla Bibbia e dal Corano. Ebrei e musulmani ancora
oggi non ammettono immagini nelle moschee e sinagoghe e se si eccettuano i più noti
Modigliani, Chaïme Soutine e Chagall, pochi sono i pittori ebrei.
Ma se si permise l’uso di immagini alla condizione che fossero accettate e
autorizzate dalla Chiesa, restò vietata quella che Jung denominò quasi 2000 anni
dopo “formazione simbolica individuale” ovvero la incolpevole legittimità della
produzione di immagini private. Perché questa ostilità? Almeno per due ragioni
profonde.
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L’immagine veicola emozioni e con ciò tentazioni, liberando la fantasia in
direzione del diabolico, dell’idolatria, del desiderio della roba d’altri, della donna
d’altri, della brama sessuale, dell’avidità e della cupidigia. Perfino Platone,
nonostante ne facesse grande uso, diffidava delle immagini che veicolavano forti
emozioni e interferivano con la limpidezza dei concetti: la lotta fra Logos
contrapposto a Eros. Fra l’antico Dioniso e Apollo. Fra le spinte collettive e
l’individualità.
Solo dopo San Tommaso (metà XIII sec. d.C) l’Anima, a differenza dello
Spirito che è universale, verrà riconosciuta come unica e particolare rendendo
l’individuo singolare e irripetibile in ogni suo aspetto attraverso il “Principium
individuationis”. Come ci si è potuti emancipare?
Grazie alla presenza della romanità. Il Cristianesimo nasce in seno alla Jus
romana, al Diritto Romano e ciò, non senza travaglio, ha contribuito alla tolleranza
per la nascita di una teologia (il discorso su Dio) che ha modificato l’interpretazione
stessa delle Sacre scritture svincolandole parzialmente dal giogo della lettura letterale
e immutabile del verbo divino attraverso la sua esegesi. Al contrario l’Islam non è
dotato di teologia.
Col Concilio di Trento gli artisti occidentali, pur controllati dalla gerarchia
ecclesiastica, sono autorizzati anche a porre firma sulle loro opere iniziando a
intendere la creatività e l’Arte stessa come fuoriuscite dagli schemi teologici in
contrasto coraggioso con i divieti, le censure, la paura del vuoto della tela bianca, il
timore del silenzio, dell’assenza di immagini, parole e segni e dell’angoscia che la
morte arrivi prima del compimento portandoci all’inferno. Ma quale inferno? Quello
biblico?
Solo secoli dopo si arriverà a comprendere meglio ciò che intendeva Antonin
Artaud (1896-1948) quando affermava che “Nessuno ha mai scritto, dipinto, scolpito,
modellato costruito o inventato se non per uscire letteralmente dall’inferno”.
Beninteso in nostro personale.
E a comprendere, in linea con il grande Matisse, che “La creatività vuole
coraggio!”
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Creaturalità, creatura, creato, creazione…celebrazione e lode.
E’ San Francesco che, quasi 900 anni orsono nel suo Cantico delle creature,
conformemente ai dettami divini, loda ed elogia tutto il Creato animato (uomo,
animali, piante, esseri viventi) e inanimato (fratello sole, sorella luna, stelle, terra,
spazi celesti, vento, aria e acqua, fuoco) tutti partecipi di un dialogo poetico.
E’ suo il parlare con gli uomini e gli animali (si ricordi il dialogo col lupo, gli
uccelli che inaugura la tradizione il rapporto fra santi e animali) che introduce ad un
concerto dialogico fra l’uomo, la natura e le sue creature. Ma non è il primo.
Un millennio prima sarà privilegio del solo Re Salomone, per mezzo della sua
saggezza e attraverso il suo anello magico, quello di comprendere il linguaggio di
bestie e uomini. E solo duemila anni dopo sarà Conrad Lorenz armato della giovane
scienza etologica ad aprire la decifrazione dei codici comunicativi del mondo animale
alla comprensione umana e stabilire un dialogo fra l’uomo dotato di parola e le specie
all’interno della Natura.
La caratteristica di questi tre uomini è la capacità di porsi in ascolto e in
relazione col mondo extraumano intuendone differenze e uguaglianze concretizzando
l’idea di Hugo Von Hofmannsthal (1874-1929) che pensava i primi gradini dello
spirito creativo non nel conoscere molte cose ma nel mettere molte cose a contatto.
Ma qual è la differenza fra umano e animale? Cosa caratterizza l’esistenza
delle diverse creature?
Martin Heidegger, in Essere e tempo, ci informa che solo l’uomo Esiste (ex
esse, essere fuori inteso da sé) e va in Estasi, mentre l’animale Insiste (in esse) ovvero
è in sé. Pertanto solo l’uomo ha una coscienza lacerata in quanto è “gettato in un
moto vorticoso nel mondo” (Geworfenheit) precipitando, se non sostenuto, al “livello
delle cose” (Verfallenheit, Niedergeschladenheit): nello stato di deiezione ovvero
“essere negli escrementi” quindi all’inferno.
D’altra parte già in Dante “insistere (ripetere automaticamente per istinto
programmato o per condanna divina di contrappasso) è per l’esistente umano
l’inferno”.
Tuttavia per Heidegger alla “tendenza cosificante” (reificazione), considerato
che siamo in parte anche animali insistenti, vi è rimedio solo attraverso la “Stimmung
befindlichkeit”, la “situazione emotiva” che è la risposta alla domanda “come va?”.
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L’esserci (Da Sein) è quindi esistere emotivamente, essere aperti alla situazione
emotiva la cui origine è e resta oscura in virtù proprio di quel ”essere gettati
quotidianamente e angosciosamente nel mondo senza saperne il perché”.
“Non è sensazione fisica, ci informa Heidegger, ma esistenziale” e provoca
angoscia tanto più si vive inautenticamente e senza prospettiva. E’ questo che spinge
l’uomo a proiettarsi in avanti con i suoi progetti (Entwurfe), con la sua Arte (Kunst) e
la sua capacità di Cura (Sorge, preoccupazione). Per Heidegger, come del resto per
Nietzsche prima di lui, l’arte, e in particolare la poesia, è essenziale come attesta il
suo stretto rapporto col poeta Hölderlin. Il suo valore sta proprio nel fatto che rende
l’uomo “parlante” sia nel linguaggio enunciato che in quello taciuto così da creare
l’apertura al proprio “aver da essere per” (esistenzialismo, Da sein Analyse). E’
questa la più vasta umanizzazione dell’Ente a confronto con la morte.
Riprendendo le parole di Hölderlin “Da quando siamo in colloquio possiamo
ascoltarci l’un l’altro” e “Ciò che resta la fondano i poeti“, Heidegger giunge
all’assioma che “gli uomini sono dunque un colloquio! Un dialogo. Un colloquio fra
gli uomini attraverso la parola e l’arte che rappresenta altrettanti linguaggi a loro
volta in rapporto fra lor poiché “Nessuna cosa è dove la parola manca”. Kein Ding
sei wo das Wort gebricht (Stefan George) che gli permetterà di affermare che “La
poesia è il fondamento che regge la storia” (In cammino verso il linguaggio).
“Il linguaggio è la casa dell’essere”. Ogni meditante pensare è poetare, ogni
poetare è un pensare. Pensiero e poesia si appartengono” (In cammino verso il
linguaggio)
Qui bisogna appuntare una Critica alla filosofia e ai filosofi che fanno
corrispondere l’umanità al solo linguaggio e non a quella funzione che lo precede: la
capacità di produrre immagini e immaginazione. Per Nietzsche difatti la pittura, la
scultura, la musica e la danza sono solo mezzi artistici: “la vera arte è il poter creare
immagini” (La nascita della tragedia).
In Nietzsche il recupero della grecità, e con essa quello della bellezza dell’arte
fine a se stessa, saranno il solo modo per contrastare l’atrocità dell’esistenza reale
data dal fondamento dionisiaco (che rende tutti uguali e annulla l’individuazione),
negato, travisato e pervertito dal Cristianesimo nel suo mortificare la vita e la sua
volontà di potenza:
“Per un filosofo è indegno dire che il buono e il bello sono una cosa sola; se
poi aggiunge anche il vero merita di essere bastonato (inteso Platone). La verità è
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brutta. Noi abbiamo l’arte per non perire a causa della verità” (La Volontà di potenza,
1906)
Il bilanciamento del brutale Dionisiaco avviene dunque attraverso l’Apollineo.
La bellezza, la poesia, il pensiero e la creatività dati dalla spinta vitale originaria e
spontanea sono immessi nella singolarità. Tuttavia è solo grazie al caos che
l’individuo è in grado di generare una “Stella danzante” (Così parlò Zarathustra).
E non vi è successo e oltrepassamento della nostra natura inchiodata
(Übermensch) se non in via creativa contro il peso della Morale cristiana e dello
spirito di gravità, in salita come Zarathustra (Così parlò Zarathustra), soli come lui,
affaticati come lui.
Anche se Benjamin sentenzia che l’arte è entrata nell’era della riproducibilità
attraverso la tecnica e i multipli riducendo in simulazioni standardizzate e
inflazionate tempo e fatica creativa, Vidal diceva che “L’unico posto in cui Successo
viene prima di sudore, è il dizionario”.
In questo senso Douglas Coupland è spietato nel rincarare la dose in proposito
nell’affermare: “Ci sono tre cose che nella vita non puoi simulare: competenza,
creatività e erezioni”.
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