Rosa Pierno Roma marzo 2015
Gilberto Isella “Mobilune” incisioni di Loredana Müller, SalvioniEdizioni, Bellinzona, 2015
Con Mobilune, SalvioniEdizioni, Bellinzona, 2015, il poeta Gilberto Isella e l’artista Loredana Müller registrano le loro osservazioni, tentando di definire una mobilissima e metamorfica luna. Il libro realizzato a quattro mani equivale a un’intelaiatura di concetti e immagini, formante una rete che è necessariamente istituita da percorrenze e scandita da soste, ma si tenga presente che vi é un’indipendenza di tutte le possibili definizioni e immagini. Tale studio si risolve al fine con un rilancio, un approfondimento, un accostarsi, non volendo mai risolvere in maniera definitiva la questione “rappresentazione”, sia verbalmente sia graficamente. In conseguenza di questo approccio, il modo di formalizzare un oggetto acquisisce un rilievo di esclusiva importanza ed è esso che seguiremo per scoprire con quali strumenti e modalità Isella e Müller abbiano attuato la macchina rappresentativa.
Per Isella, luna è chiave simbolica che apre un mondo immaginifico, nient’affatto scientifico. Vi si affastellano sogni e visioni, in cui persino il futuro delle favole è soggetto a chiromantica visione. Per Isella non è la luna in quanto oggetto concreto ad avviare i motori, ma l’osservazione delle litografie di Loredana Müller, la quale, a sua volta, ha inteso rappresentare il satellite terrestre non nei suoi aspetti volatili, distanti, refrattari all’indagine dell’occhio, abbacinati dallo splendore, ma da materie presso di sé: la seta cangiante, la porosità o scabrosità delle superfici, le pagine scritte. In questa prossimità tutta giocata su un piano a cui è legato il proprio corpo, la luna s’individua solo per proiezione, tramite un escamotage, una trappola.
Loredana Müller riconfigura l’oggetto luna secondo piani proiettivi in cui si gioca esclusivamente la partita della rappresentazione più che dell’oggetto rappresentato. Non sarà allora la luna a essere visibile solo parzialmente poiché sorpresa durante le sue fasi: sarà la limitatezza del foglio a determinare la presenza di sue porzioni e spesso in contraddizione con la forma a falce: il foglio, infatti, segherà porzioni della calotta in maniera da risicarne la visibilità. La luna non entra nel foglio e solo per questo motivo non sarà pienamente visibile. Echi, prodotti graduando il colore, poi, toglieranno precisione all’immagine, per cui la falce sarà solo un gradiente di luminosità. Gli attributi della luna acquisiscono concretezza rispetto all’essenza: essa resta indefinita, ma non le sue caratteristiche. In questo senso si potrebbe azzardare che l’ipotesi della Müller sia più vicina a quella cartesiana e galileiana: cioè a un costeggiare la scienza nei suoi tentativi di esplorare la possibilità di definire l’oggetto in esame. Si ricorda, qui, per inciso, che Galilei è stato colui che ha inteso per primo definire il satellite legato all’orbita terrestre circoscrivendone le sole caratteristiche osservabili, non pretendendo di restituirne l’essenza.
I segni della matita sembrano ripristinare l’ombra proiettata dai rilievi lunari, ma l’artista ricorre anche all’introduzione della carta da musica, per un omaggio agli elementi che hanno fatto della luna un oggetto privilegiato di espressione non solo romantica. La Müller utilizza “una o più lastre di zinco, incise a puntasecca o ad acquaforte, unendole poi durante la fase di stampa, a testi incisi in linoleografia”. Note musicali e lettere dell’alfabeto istoriano i disegni creando il sostrato tutto concreto e materiale della luna fra noi.
La superficie lunare è resa con un lavorio delicatissimo, vero e proprio filo scritturale, formante un traforo, un merletto, per ribadire, a un diverso livello, che la luna non è un corpo, non ha materia. La sfera satellitare non si distingue per trattamento dal cielo che la contiene. Il contenuto dell’insieme non si distingue dal campo che contiene l’elemento. Qui, paradosso e complessità allignano. Quest’ultima è resa in maniera astratta per mezzo di un cielo porzionato dal colore (e ci vengono in mente le tavole quattrocentesche con la rappresentazione delle diverse sfoglie del cielo: quella sublunare o quella in cui risiedono i santi e gli angeli). Non peritando di legare referenzialità al colore: i verdi pastello, gli ocra spolverati di proteine seriche, gli ori stemperati e i viola profumati: è tutta una sinfonia coloristica che trancia la luna così come presente nell’immaginario collettivo, per riconsegnarci un satellite sconosciuto.
Luna è ottenuta persino con asole di vuoto: ha forma d’occhio. In qualche modo la metafora per eccellenza, definita da Müller e riflessa da Isella. Il poeta preleva da un contenitore in cui l’elaborazione scientifica non è separata dall’alchimia né dagli errori. Ivi, egli pesca lemmi e porzioni di racconto, spesso abortiti, schegge che, eppure, si sono conficcate nel nostro linguaggio quotidiano (ancora una volta, quindi prossimità del piano linguistico alla quotidianità esistenziale). Ma Isella gioca anche sui vocaboli, spostando, ad esempio, la posizione del termine all’interno del contesto. Se il significato cambia, ciò avviene sempre per rinforzare la cifra del libro: la mutevolezza della luna ne è, di fatto, l’aspetto sostanziale:
tarme a spirale invadono rughe
dietro cui la falce del silenzio
tortura una faccia invisibile
Gilberto Isella, totalmente concentrato sulla superficie stampata, cerca in questa ogni ragguaglio, asperità, aggancio per costruire la sua pagina, tanto limata quanto lucidata, perfetta nel suo reclamare i punti della rete pressoché infinita delle sollecitazioni poetiche. Sollecitazioni che luna dovrebbe procurare, mentre è arte che s’incarica di veicolare e creare.
Nessun freno, paletto, confine nelle aree semantiche e culturali è presente:
e quieta discenda nella marea
che avanza e si ritrae
dentro un acquario di gingilli
accerchiato da grondaie
A pescare nella rete simbolica, analogie tramano, alfine, un tessuto che stringe insieme immagini e testo poetico, storia e scienza, senza soluzione di continuità, ma solo per stenderli insieme sul piano bidimensionale della cultura, non certo perché ci sia assimilazione delle forme artistiche specifiche. La straordinaria simbiosi raggiunta dalla coppia Isella-Müller vede un epilogo folgorante con una litografia rugginosa e pulverulenta e il seguente trittico di splendidi versi:
talvolta la posiamo sull’altare
e lei diventa l’ostia
da cui sanguina il nostro pulsare
in un rilancio siderale operato dal poeta, ove, questa volta, è l’immagine a rincorrere la parola.
Rosa Pierno Roma marzo 2015
Ascolta dalla radio l'agenda un intervista a Loredana Müller su Mobilune l'esposizione alla Biblioteca Cantonale di Lugano.