"Il viaggio di una vita"

           Joan Halifax ( 1942 Stati Uniti)

del regista WERNER WEICK (RSI 1998)

Buonasera, grazie di essere qui sempre numerosi. Ringrazio Werner Weick, che assieme a Dorella accetta queste nostre piccole sfide, in un non luogo, su temi dove si tenta di abitare cuore e mondo.

 

Per questa sera, è stata Dorella a suggerire questo documentario, subito ci è sembrato necessario alla riflessione che si incontra nella parola che ho scelto che titola l'esposizione

"COMPRESENZA" e non è un caso, che possa generare un approfondimento. In sala le opere di Gualtiero Mascanzoni, le sue sculture in alabastro, e alcune pagine incise che trovate anche qui; Gianni Paris, l'artista mancato nel 2018 una scelta di oli su tela e piccole carte, e qui con minuti ovali a grafite. Unitamente a miei lavori e libri d'artista.

L'accorata partecipazione e condivisione per chi è mancato, ci lascia un segno, traccia di vita condivisa...Gianni,Veronica e Daniella.

Questa sera un documentario di Werner Weick, si definisce un documentarista, e di lungo corso nella RSI per la quale ha realizzato come giornalista e regista e poi produttore; oltre duecento documentari di '60 minuti... centinaia di servizi tra il 1964 e il 2006 , compresa la splendida serie del Filo D'oro, di cui questa sera vediamo:

"Il viaggio di una vita" di Joan Halifax ( 1942 Stati Uniti)

 

Laureata in filosofia e antropologia, collaboratrice dello studioso di miti Joseph Campbell, grande viaggiatrice " Interiore" ma anche "esteriore" tra i Dogon del Mali, gli Huicholes e i Maya in Messico, tra le loro culture, lo sciamanesimo, lavora da anni con i malati terminali...In questo ambito nel '70 sperimenta la somministrazione controllata LSD e gli allucinogeni...l'incontro con il buddismo la trasforma e da attivista e ambientalista, ci sottolinea quanto l'unico mutamento che possiamo considerare nella nostra vita parte... dall'interiorità...

 

 

La morte ci spaventa in quanto rappresenta l'ignoto, lo sconosciuto. Quando essa si avvicina, entriamo nella terra del non sapere. Joan Halifax, nel suo libro Abbracciare l'infinito, ci avvicina al tema e al momento della morte come rito di passaggio, e ci insegna come affrontarlo.

 

Questo primo principio, “non-sapere”, può apparirci strano, perché nel nostro mondo il sapere concettuale è tenuto in alta considerazione. Tuttavia, in molte altre culture la sapienza è equiparata non al conoscere, ma all’apertura del cuore. Ci sono molte cose che non possiamo conoscere concettualmente: come sarebbe possibile prevedere ciò che accadrà nel momento successivo a quello presente?

 

 

 

Una definizione di persona illuminata è: colui che ha sempre ciò di cui ha bisogno. A ogni istante è presente ciò che gli occorre. Egli non è alla ricerca di niente. Se stai praticando seriamente per raggiungere la libertà e la comprensione dell’illuminazione, non cercherai mai di evadere dalla situazione presente, per quanto possa essere brutta. La trasformi in ciò di cui hai bisogno. Immagini che sentire di aver bisogno di qualcosa è esattamente ciò di cui hai bisogno.

 

Il seguenti brani son tratti dal libro "Abbracciare l'infinito" di Joan Halifax edito da Pendragon, per gentile concessione dell'editore.

 

Il viaggio nell’essere con il morire, per molti di noi, ha inizio con la diagnosi di una malattia, che può essere la nostra oppure quella di un amico o di un parente: Alzheimer, cancro, diabete, un problema al cuore. Per altri ha inizio con la perdita di un figlio in guerra, con l’uccisione della figlia nel giardino di scuola o con la morte di un minatore sotto il crollo della terra. La morte, improvvisamente, ci spinge in un territorio inesplorato: lasciamo alle spalle tutto ciò che è familiare e ci muoviamo verso lo sconosciuto. Nel buddhismo si dice che siamo chiamati nel luogo del “non-sapere” o “mente del principiante”.

Nell’essere con il morire, incontriamo così il “non-sapere”, nonostante i nostri sforzi per progettare e controllare ogni cosa.

Ci chiediamo: cosa si sente quando si muore? Soffrirò? Sarò solo? Dove andrò dopo la morte? Sarò dimenticato? Sarà un sollievo?

Quando ci poniamo queste domande, il nostro “non-sapere” è ormai nato, poiché noi, in verità, non potremo dar loro una risposta.

Questo primo principio, “non-sapere”, può apparirci strano, perché nel nostro mondo il sapere concettuale è tenuto in alta considerazione. Tuttavia, in molte altre culture la sapienza è equiparata non al conoscere, ma all’apertura del cuore. Ci sono molte cose che non possiamo conoscere concettualmente: come sarebbe possibile prevedere ciò che accadrà nel momento successivo a quello presente?

Il processo di allontanamento da ciò che è prevedibile e abituale viene chiamato dall’antropologo Arnold van Gennep “separazione”,

 

e costituisce la prima fase nei riti di passaggio, condizionamenti: è una mente che non è attaccata a idee fisse su noi stessi o sugli altri. Una mente coraggiosa, capace di separarsi dal terreno familiare delle attività mentali e di restare nella realtà silenziosa delle cose così come sono, e non come si pensa debbano essere. Joan Halifax: Non più. Ho scoperto che l’atteggiamento interiore, la qualità della presenza che si riesce a portare a una persona morente o che si riesce ad avere per se stessi, è un conforto e un sollievo sufficiente e profondo. Ho appena avuto delle esperienze incredibili con delle persone morenti, senza la mediazione delle droghe. Nelle ultime fasi del processo della morte la gente è di solito in uno stato di consapevolezza così alterato che strafare non sembra necessario. Quella che funziona davvero è una sorta di trasmissione da cuore a cuore, un flusso d’amore, un amore e una pazienza assoluti davanti alla morte. La magia di questo essere allo stesso tempo vuoti e pieni di compassione ha un effetto incredibile, sia su chi assiste sia su chi sta morendo.

Il principio del “non-sapere” riflette le potenzialità che ogni essere umano ha di risvegliare una mente aperta e chiara: è la mente saggia dell’illuminazione al contempo infondata, profonda, trasparente, inconcepibile, penetrante.

La vera natura della nostra mente è come un grande oceano, illimitato, naturale e completo così com’è.

Molte persone scelgono di vivere in una piccola isola in mezzo a questo grande oceano per sentirsi sicure e trovare dei punti di riferimento nelle cose familiari. Così facendo dimenticano, però, di guardare oltre il proprio territorio, solo apparentemente

stabile e sicuro, e di aprirsi verso l’immensità di ciò che esse sono realmente.

Quando moriamo, gli ormeggi che ci ancorano alla nostra vita si liberano e così ci muoviamo in acque sconosciute, lontano dalla nostra terra familiare. Come ci ricorda André Gide, non possiamo scoprire nuove terre fino a che non perdiamo di vista, per un lungo periodo di tempo, la costa da cui siamo partiti. Questa è la natura della morte: abbandonarsi allo sconosciuto, liberarsi dagli ormeggi e aprirsi all’immensità di ciò che realmente siamo.

 

Per me, la chimica o l’alchimia del buddismo, della pratica seria, funziona davvero quando non ti concedi altre possibilità. Una definizione di persona illuminata è: colui che ha sempre ciò di cui ha bisogno. A ogni istante è presente ciò che gli occorre. Egli non è alla ricerca di niente. Se stai praticando seriamente per raggiungere la libertà e la comprensione dell’illuminazione, non cercherai mai di evadere dalla situazione presente, per quanto possa essere brutta. La trasformi in ciò di cui hai bisogno. Immagini che sentire di aver bisogno di qualcosa è esattamente ciò di cui hai bisogno.

 

Non si tratta di cambiare il tuo stato mentale, ma di cambiare attraverso il non-cambiamento.

 

 

Robert Aitken: Vorrei aggiungere che esiste una differenza qualitativa tra l’estasi che alcune persone sostengono di sperimentare nell’esperienza della droga e la comprensione, la realizzazione che nascono dalla pratica zen. Noi cerchiamo la comprensione, non l’estasi.