“ DIPINGENDO TRA MENTE E NATURA “
Con una decisione tecnica fuori dal comune Loredana Müller lavora su carta a mano trattata con iris e riso, e fabbrica personalmente i propri inchiostri a colori partendo da sostanze naturali, sia vegetali che minerali. Acqua di calce .Mallo di noce. Radice di ginestra. Aceto bianco o rosso. Cenere di vite. Bucce di melograni”
“L’impostazione geometrica molto libera, non rigida e seriale,, ma un mezzo al servizio della scansione e composizione dei colori –luce . L’impostazione psicologica emotiva, di tipo lirico e interiorizzato, una meditazione sulla natura spiritualizzata.” “Il soggetto Natura è trattato incessantemente anche coinvolgendo l’idea di cosmo o di maternità;.” “ Che cosa può’ fare il lavoro umano: scendere fra la natura materiale?
O captare la realtà della materia e umanizzarla? O costatare che non si può’ tracciare una separazione?” (estratto
Giuseppe Curonici Corriere Del Ticino 17.02 2001)
Carole Haensler
Loredana Müller definisce il proprio potenziale espressivo come un ordine complesso. Se si vuole tentare di parlare sulla sua personalità creatrice, bisogna ricorrere ad un linguaggio relativo all’origine dell’universo: dal caos primordiale si sprigionano nebulose, generatrici di pianeti e già di vita, vengono nel contempo generati anche frammenti sterili – che tornano ad arricchire la massa confusa che precede la genesi. Il substrato di Loredana Müller è composto da una cultura visiva e letteraria sempre accresciuta e in crescendo, che nutre un bisogno imperativo e impetuoso di riflettere su questo suo esprimersi. È culla dalla quale scoppiano pensieri , fonti di meditazione per opere “compiute”, mentre altri concetti si rivelano sterili e tornano ad arricchire il potenziale originale – per risorgere più tardi sotto una forma più evoluta. Parole quali maturità o stile compiuto sono così applicabili alla sua opera solo entro certi limiti: ogni ricerca portata a termine conserva un germe ritenuto, non represso, solo in attesa di trovare la via della propria espressione. Così le serie finestre e soglie presentate in mostra risultano essere fonte di un’opera organica, inaugurata con la serie degli angeli di terra. In questo senso le opere di Loredana Müller sono pianeti, che appaiono quali riflessioni sulla vita dentro il loro essere riflesso di forme vitali.
Nota sul vocabolario artistico di Loredana Müller
Chi si è espresso sull’opera di Loredana Müller è rimasto affascinato dallo scorrere degli inchiostri, che lasciano interagire i colori, dimenticandosi pero’ del ruolo non trascurabile assunto dal supporto.
La carta è voluta e concepita come pelle e spina dorsale dell’opera. Il materiale scelto è sottile, rendendo minima la presenza della colla, e diventa piano di condensazione per rendere palpabile il significato intrinseco del colore.
Inoltre, la scelta di una materia elaborata a mano avviene come risposta allo stato inorganico dei colori. Il procedimento alchimistico che presiede alla loro produzione stabilisce le componenti di origine vegetale , quali iris o mallo di noce, riducendoli ad elementi minerali. Applicarli sul materiale “brut” costituisce un ritorno simbolico alla loro dimensione vegetale. Questo dialogo tra mondo organico e mondo inorganico è generato dal lavoro dell’artista sul colore e sulla carta. Si determina al di là della volontà creatrice e viene sviluppato in modo cosciente solo in una fase ulteriore. Questo svolgimento tocca la superficie dell’opera, dilatando la “sapiente tassellatura cromatica” in evanescenti forme vitali.
Carole Haensler,
Maggio 2000
Maria Will
per la mostra
Loredana Müller Donadini, Soglie
a cura di Associazione Triangolo Sottoceneri
Sorengo, Clinica Sant’Anna, Reparto di Oncologia
giovedì 7 ottobre 2010, ore 18.30
Trascrizione della presentazione
(testo destinato alla lettura a voce, non alla pubblicazione scritta)
Voi potrete vedere che Loredana Müller Donadini ha fornito fra le succinte informazioni poste accanto ad ogni singolo quadro un riferimento temporale invariato per tutte le diciotto opere che compongono la mostra: per tutte ha scritto: 2000-2010. Un intero decennio.
Se pensiamo che ci sono artisti che datano al giorno preciso e perfino all’ora precisa i loro lavori, questo è già un elemento di per sé significativo che abbiamo per avvicinarci al mondo e al modo creativo di questa artista cresciuta a Lugano, formatasi a Roma, ormai attiva da più di vent’anni e bellinzonese da una decina di anni.
La temporalità infatti è una componente molto importante del fare di questa artista che però non la interpreta come strumento di determinazione statica di singole situazioni, ma al contrario sente questa temporalità come processo infinito di un tutto, di un’unità inscindibile.
A tal punto che si dovrebbe forse parlare non di temporalità ma di atemporalità.
Atemporale per l’appunto è il carattere che immediatamente viene da associare alle opere di Loredana Müller Donadini, della quale vedete qui lavori classificabili come dipinti, ma che ha un’attività oltre che molto intensa anche allargata a comprendere in particolare l’incisione e l’arte della stampa in relazione con la parola poetica, invitando alla collaborazione in questo ambito specifico colleghi artisti e scrittori.
Senza dimenticare naturalmente i suoi lavori di modellazione, delle terre ceramiche soprattutto.
Se le opere che vediamo qui questa sera sembrano trascurare la dimensione dell’attualità intesa (anche) come posizionamento entro una logica di sviluppo strettamente sequenziale del linguaggio artistico, è perché la loro specifica logica va ricercata altrove.
E questo altrove corrisponde non ad una ricognizione in avanti o sperimentazione che dir si voglia, ma ad uno scavo in profondità.
Uno scavo che inizia dagli stessi mezzi espressivi messi in campo dall’artista, inizia dalla materia stessa del suo fare.
E sappiamo, non è vero, come questo termine di materia, sia divenuto tanto centrale per la nostra contemporaneità in virtù del portato di tanti artisti raggruppabili nella corrente dell’espressionismo astratto.
Per esigenza di verità, di autenticità e di adesione totale, questo viaggio nella materia e con la materia di Loredana Müller Donadini la porta al punto originale, là dove essa (materia) si manifesta.
Ecco perché questa artista fabbrica da sé le carte sulle quali dipingerà e gli inchiostri con i quali dipingerà.
Il fatto poi che li ricavi (carte e inchiostri) facendo capo a ingredienti che lei stessa raccoglie nel bosco piuttosto che nell’orto di casa introduce un ulteriore importante orientamento per leggere il suo lavoro nel rapporto con la natura e nella necessità di questo rapporto.
Non ci vuole molto a dedurre dopo quanto detto come l’atto creativo prettamente artistico messo in pratica da Loredana Müller Donadini si apparenti molto da vicino con la “creazione” in senso originario, e diventi, non solo simbolicamente parlando, messa al mondo e nascita tout court.
E neppure ci vuole molto a capire, a questo punto, che le ascendenze del fare di Loredana Müller Donadini risalgono ad allacciarsi alle radici dello “spirituale nell’arte” introdotto da alcuni protagonisti delle avanguardie del Novecento e da Paul Klee in particolare.
E, andrà anche detto, che questo suo fare nel segno di una importante “fisicità” viene tuttavia accompagnato da un pensiero che definirei mai pago di se stesso, sempre invece interrogato, e che l’artista nutre con letture appassionate di testi filosofici che spaziano nei secoli, (da Giordano Bruno a Elemire Zolla).
A segnare l’inizio del percorso espositivo l’artista ha messo un lavoro che lei stessa definisce “opera-matrice” in quanto capace di sviluppare tutta una serie di altri lavori, fra i quali questi che compongono la mostra.
Si tratta della piccola tempera riprodotta nell’invito.
Il suo titolo, “Occhio”, che Loredana collega alla sentenza di Goethe “l’occhio finestra dell’anima”, mette subito l’accento sulla centralità della visione in quel processo di crescita che per questa artista è scopo così della vita come dell’arte presi in un tutt’uno.
E allora ecco le finestre, ecco le soglie del titolo della mostra, soglie e finestre che sono luoghi di passaggio tra esterno e interno, luoghi di osmosi tra due realtà altrettanto necessarie.
Questa osmosi è data appunto dalla visione e dunque dall’arte, attraverso cui questa nostra facoltà sensoriale viene potenziata e nobilitata.
Nelle opere di Loredana Müller Donadini si incontrano di continuo allusioni alla ciclicità della natura e degli esseri, alla incessante trasformazione cui è sottoposta la vita.
E particolarmente per questa mostra l’artista ha saputo riunire un insieme coerente di lavori, scelti con grande senso di rispetto per il luogo in cui ci troviamo.
Sono tutte opere di estrema delicatezza, che nelle luci e nei colori hanno la trasparenza talvolta delle vetrate e sono opere che sanno ancora, frammezzo a tutte le contraddizioni e le fragilità di cui devono farsi carico gli artisti contemporanei, preservare il senso della bellezza.
La semplice, pura bellezza, davanti alla quale la parola tace e parla l’emozione.
LOREDANA MUELLER
Sognare la natura di Claudio Nembrini
Loredana è nata a Mendrisio quasi per caso; l'urgenza volle che fosse il borgo a darle i natali, e il luogo di nascita conta, è l'ingresso nella vita: lì si vedono per la prima volta la luce, i colori, si respira la prima aria, s'annusa la prima atmosfera. Non se ne ha consapevolezza alcuna, tuttavia, ma questo deve aver appagato negli anni, anziché deluso, la giovane artista, sensibile ai misteri e agli scherzi del destino, investano essi la vita o la sua rappresentazione. Le quali, poi, a volte s'intrecciano e si fondono: non è anche lo svelamento di questo insondabile processo con le immagini, l'arte, o perlomeno uno dei suoi rami? Loredana lo sa più di altri, anche perché il suo cimento con i segni e i colori sfiora crinali diversi, fisici e spirituali, in un andirivieni inafferrabile, che ha tracce nell'antichità e sviluppi nella modernità. A cominciare dal significato simbolico dei luoghi, anche e soprattutto per chi, come per lei, assumono le sembianze di stazioni d'un nomadismo culturale e ambientale di cui si sente figlia. Forse proprio da questa condizione mentale si scatena l'energia che guida i suoi passi, ne accompagna i gesti, determina il suo temperamento, ne irrora il corpo e la mente. Un oscillare continuo tra poli magnetici opposti, da essi attratta e respinta, di nuovo attratta. Un viaggio verso la natura, dentro le sue viscere, i suoi grovigli, la sua sostanza fisica; ma con l'impeto leggero di chi è sospinto dall'aria, dalla luce, dal sole, dai colori. Sono da cogliere in questa convergenza degli opposti i capisaldi della sua arte? Morandi e Klee, i grandi, inarrivabili capostipiti di due supremi filoni, non sono forse lì a testimoniarlo? E' un puro caso che la giovane, nascente artista per la sua tesi d'esame all'Accademia di Roma abbia scelto la relazione tra i due maestri? Tra l'opera esemplare di Morandi, che sorge dall'Humus, dalla sua sostanza organica poeticamente trasfigurata per lambire il sublime, con quella poeticamente fantastica di Klee? Terra e cielo, cielo e terra. Se poi sia stata una scelta istintiva o un atto consapevole poco importa; le regioni profonde obbediscono sempre a una propria necessità ineludibile, anche quando sembrano inspiegabili. Lo diventeranno, espliciti, semmai, più avanti, lungo il percorso dell'artista oramai armata dei mezzi pratici e teorici, che affiancano la propria naturale, decisiva visceralità, controllandola, mediandola, mai reprimendola. Di qui, forse, la scelta di assimilare l'insegnamento di certa scuola romana, quella che vede in prima fila gli amati e studiati Achille Pace e Guido Strazza, e in genere gli esponenti del Gruppo Uno: gli interpreti di un'astrazione lirica fantastica e rigorosa, soprattutto quando il colore e la materia magra, cedono il passo al segno: accade anche a Loredana e, non a caso, i suoi lavori grafici tendono a obbedire a una sotterranea razionalità, sia pure poeticamente stravolta: è il suo "fantastico" stravolgimento a conferire loro fascino e mistero. Ma tutto questo avviene dopo, nel tempo: Loredana prima degli anni romani ha studiato in Ticino e ha avuto tra i maestri decisivi Massimo Cavalli. Non è difficile percepire il peso della sua lezione: il ruolo della materia organica, il fascino dell'ultimo naturalismo arcangeliano, anche se già nell'opera matura del pittore ticinese, tra le figure di spicco del secondo '900, s'avverte l'incombere di una sua conquistata razionalità, con ascendenze francesi. Questa misura passa nel lavoro successivo di Loredana, a dosi alterne, incontrandosi con altre sue propensioni: l'attenzione per l'artigianalità, la scoperta dell'alchimia, il crescere di una personale visione del mondo, frutto di letture appassionate e intrecciate, ma anche di un bisogno vitale di esprimere e esprimersi. Per l'artista supporti e pigmenti concorrono all'opera in modo essenziale; sono, in qualche modo, il prolungamento naturale del corpo, il passaggio dall'azione alla rappresentezione all'interno di un ordine che salda la natura-vegetale alla natura- animale, congiungendola infine alla natura umana. Di qui il ricorso a elementi naturali, la loro trasformazione in supporti ( carte povere ) grazie a tecniche artigianali, su cui applicare i colori, non spremuti da tubetti industriali, ma ricavati da pigmenti vegetali, secondo un'antica pratica alchemica. Ritualità e artigianalità si incontrano,soccorrono l'azione dell'artista, il suo liberare appassionato segni e colori. E anche quando i primi cedono il sopravvento agli acquarelli o alle tempere, e il soffio creativo si fa tumulto, Loredana costruisce liberamente ma sapientemente l'opera: lo si vede dall'ordine che la sorregge, in un confronto continuo con il suo opposto: la libertà esecutiva estrema, la gestualità informale. Non solo nei piccoli formati, comprensibilmente più sintetici, più tenuti. Ma anche nei lavori di dimensioni maggiori, che richiamano le finestre, le vetrate. Finestre di luce e colore: luce colorata, ritmata, sospesa a volte in una sorta di turbinìo fantastico, di fiori, di rami, di petali. Di microcosmi vegetali, filtrati dagli impulsi dell'anima. Ma anche di colori più queti, autunnali, liricamente sommessi nel loro annunciarsi discreto. Fanno pensare, a tratti ai moti interiori dell'artista, ai suoi trasalimenti, alle sue ferite, ai suoi soprassalti di gioia e di dolore; al loro trasformarsi in scale musicali illuminate dai colori e dalla forma, disegnate dalle note: ora acute, cristalline; ora basse, gravi, intervallate da silenzi.
Loredana vive e lavora anche ai margini del suo cimento d'artista: si occupa di anziani, da tempo, cui trasmette a modo suo valori etici ed estetici, fuori dalle formule aride e mentali cari a certa sociologia di moda. La sua sensibilità nasce dal primordio dell'atto creativo, dal contatto diretto con la sostanza che lo genera; dall'emozione che suscita, non dalle teorie che genera in chi non ha strumenti naturali adeguati. L'artista profonde il suo sentire e il suo sapere, così come, in altri momenti il suo operare, promuove l'attività artistica di terzi, pittori in genere vicini al filone che le è affine.E' una scelta di vita a un tempo necessaria e complementare, anche se l'affatica a volte oltre misura. Ma lo fa con scrupolo e passione. Nutre e si nutre. Si misura con la vita, si confronta, in un atto di prolungata generosità. Loredana ha una visione circolare dell'arte, crede nella sua soggettività, nella sua unicità: nel bisogno conseguente di praticarla nell'appartatezza della casa-studio. Ma anche della necessità di divulgarla, di dividerne l'impatto con altri, di far si che il viaggio tra le sorgenti dell'opera d'arte e la sua destinazione sia più lungo e intenso possibile. Anche questo è un luogo, un luogo del suo pensiero, del suo modo di esistere tra istinto e razionalità, regole e trasgressione, determinazione e casualità. Un po' come la sua vita. A cominciare dalla nascita, avvenuta a Mendrisio, per caso, luogo non solo accidentale, tuttavia, del suo itinerario umano, dove ora torna per raccontare con le opere la sua storia d'artista.
Claudio Nembrini
LOREDANA MÜLLER DONADINI
In tutte le sue opere, Loredana Müller Donadini rilegge con particolare sensibilità alcuni rapporti, sottilmente ricostruiti, e attentamente riattivati, con la natura - ente primo e referente costante della sua arte. L'approdo successivo con la creazione, nelle sue varie declinazioni, passa per un lungo periodo di riflessione e maturazione; forme di vita apparentemente spontanee, in realtà già capaci di un proprio respiro, già dotate di un ritmo ciclico, naturale oltre la loro quieta essenza. Il paragone che nasce immediato é quello con l'Orto dei Semplici - dove semplice riporta alla qualità curativa, la capacità di lenire di una specie vegetale. Qui alla natura si sostituisce il lavoro dell'artista, che cresce sostanzialmente grazie alla pazienza, alla dimensione manuale ed alla cura - quest'ultima vera parola chiave per il lavoro di Loredana Müller, attenta a sottolineare la componente alchemica ma sottilmente svelata delle cose. Indicazioni illuminanti arrivano dalla costruzione lenta, e quindi consapevole e rituale, dei mezzi stessi della sua opera: colori naturali, carte fatte a mano - tutti gesti che conservano una filosofia e pratica intima, oggi spesso dimenticata, qui ritrovata e riscoperta - di più, una prassi divenuta linguaggio proprio, interiore.
Gian Franco Ragno 2009
Arte, pensiero e impegno.
Il contributo di Loredana Müller Donadini a Primavera laica
La pubblicazione Primavera laica. Radici intellettuali delle libertà dei moderni, a cura di Simone Bionda e Franca Verda Hunziker con saggi di Michele Ciliberto, Gian Matteo Corrias, Silvia Maspoli Genetelli e Pier Paolo Portinaro, Bellinzona, Edizioni Club Plinio Verda/Salvioni Editore, 2010, è stata accompagnata da una cartella di incisioni calcografiche (riprodotte nel volume) realizzata da Loredana Müller Donadini in ventidue esemplari. La Biblioteca cantonale di Lugano ha dedicato lo scorso 11 maggio una serata di presentazione dell’opera, con la partecipazione di Fabio Merlini, Pier Paolo Portinaro Gerardo Rigozzi e Maria Will. Di seguito, una sintesi del commento di quest’ultima.
L’aver voluto nel coro di voci che compongono Primavera laica anche una testimonianza figurativa significa riconoscere che l’arte, in quanto gesto di affermazione dell’individuo nel segno della responsabilità e della libertà, possiede quella stessa capacità critica nei confronti del presente e del reale potenzialmente «sovversiva» che, nel saggio dedicato a Lorenzo Valla, Gian Matteo Corrias dice propria della filologia, capace in sé di far risaltare il vero dal falso
Franca Verda Hunziker attribuisce al fare di Loredana Müller Donadini, quarantacinquenne artista ticinese, il fondamentale tratto dell’autonomia di pensiero che, come insegnano gli autori dei saggi raccolti nel volume, costituisce il punto centrale e indispensabile di un atteggiamento moderno e laico. In effetti, si può osservare che la ragione più profonda, per la quale le opere di Loredana Müller Donadini risultano in tutto affini allo spirito del progetto Primavera laica, risiede nel metodo di lavoro che l’artista ha fatto proprio. Un metodo che non solo ha come termine di confronto la natura nell’accezione universalistica, ma un metodo che soprattutto si basa sulla continua sperimentazione, sulla verifica dell’idea attraverso le concrete possibilità tecniche che portano alla creazione vera e propria. Il processo di lavorazione che sta dietro alla cartella calcografica è in questo senso particolarmente illuminante, risultando essa di ideazione unitaria fin dai suoi aspetti artigianali.
Le cinque incisioni della cartella si basano su altrettanti studi a matita realizzati dal vero. Ciò che spinge Loredana Müller Donadini a questo esercizio sulla natura non è un atteggiamento estetico, finalizzato alla definizione di forme, ma invece il tentativo di raggiungere, attraverso un’adesione totale al motivo, la «verità», come dice l’artista stessa, dell’«essere natura» cui si confronta: cogliere la «verità» e insieme, sono sempre parole dell’artista, la «tensione che appartiene alla vita» e che si esprime in ogni essere, nel moto continuo della crescita e della trasformazione. Una sete di capire e di far parlare attraverso gli strumenti dell’arte ciò che ci sta attorno, che rientra in quell’impegno etico e morale dell’individuo responsabile che è appunto premessa necessaria a sconfiggere ogni oscurantismo.
Caratteristico e controcorrente il rifiuto di Loredana Müller Donadini di chiudere entro una forma definitiva e bloccata quello che invece si presenta come complesso, diversificato e in perenne adattamento. Così, da una stessa matrice possono essere ricavate più immagini in diversa composizione.
Ma l’aspetto che forse segnala maggiormente l’originalità del lavoro incisorio di Loredana Müller Donadini appare quel carattere atmosferico, soffuso e ‘sporco’ che risalta con grande evidenza e che la distanzia nettamente dalla ricerca di qualsiasi ‛preziosismo’ dell’incisione così come viene intesa da suoi cultori puristi. Ciò che importa qui è arrivare a sfiorare il senso di un ordine cosmico. E poiché questo ordine non potrà essere che infinito e senza limiti ecco che anche i margini, consueta cornice dell’immagine incisa, scompaiono: le dimensioni della lastra incisa e del foglio stampa infatti coincidono. Insieme al trattamento morbido, non aggressivo della lastra, questa peculiarità fa sì che le incisioni di Loredana Müller Donadini trovino una loro preziosità nell’avvicinarsi al disegno acquerellato. E non per puro gusto dell’effetto, ma giustamente perché tutto è sempre sul punto di diventare altro.
Gilberto Isella
Loredana Müller o l’attrazione di Pangea
È Loredana Müller Donadini a suggerirmi la parola Pangea, una parola benefica, un talismano. Pangea è il continente primordiale e indiviso, da cui nei millenni sarebbero derivati i continenti attuali. Ma anche il mito che ispira il progetto creativo di Loredana e ne sorveglia sviluppi e manifestazioni. Di inenarrabili lontananze si fa carico. Pangea si è dissolta, eppure di lei parlano ancora esuberanti tracce sparse nella natura: atmosfere, colori, densità materiche, arabeschi di diversa luminosità, compatta o effranta, che accennano al fiorire o all’andarsene, enigmatici intrecci tra elementi del regno vegetale e animale. Una natura nell’atto di celebrare l’antico soffio che le ha dato vita: come in Respiro d’albero (olio e cenere), col suo manto mimetico tutto a spire, dove però il soffio vitale, permeato di tinte brune e crepuscolari, è solo memoria tenace. In Cascata d’aquila sentiamo invece il puro impeto sorgivo, la danza dionisiaca incontenibile della luce generatrice che da se stessa zampilla, come in certe opere di Balla. Non mancano - nei lavori grafici in particolare - striature di corpi fossili, lineari segnalazioni d’attrito, indizi d’assestamento di possibili masse irrelate: il lavorìo, dunque, che si avverte nei fondali.
I sedimenti risalgono a noi, portatori di luce o ombra, trasparenza o opacità, durezza o mollezza, a seconda del loro stato originario, della particolare zona di Pangea da cui sono supposti provenire. Vi rileviamo anche tratti o grafismi che rimandano a figurazioni umane arcaiche, come in Semi e numeri. La materia smossa, con le sue particelle spermatiche sopravvissute, sembra cercare sibilline compensazioni dentro gli alvei particolari delle forme, ma sempre nell’ipotesi fantastica che la prima matrice, nel retrocampo, resista. Ogni opera di Loredana ci dà l’illusione di riflettere quel tutto. E così il nuovo universo in espansione, quello dell’arte, non volgerà all’astratto – nel senso di totalità geometrico-cromatica autoreferenziale – proprio perché incline a custodire il ricordo visivo, tattile e persino acustico di quel remoto territorio del desiderio. Come se l’altrove vibrante e pulsante fosse impresso in una super-rètina cosmica, ansiosa di reimmettere nel ciclo degli elementi - Terra, Aria, Acqua, Fuoco - le immagini che ha trattenuto così a lungo.
Di questo registro ‘spiritualizzato’ del reale volto a risolvere la bipolarità concreto-astratto – e Loredana sembra procedere in tale direzione - parlava profeticamente Kandinsky nel suo essenziale Lo Spirituale nell’arte: “Ma quando il nuovo ‘realismo,’ trasformato mediante nuovi processi e un punto di vista che ancora ci sfugge, conoscerà il suo sviluppo e darà i suoi frutti, allora forse risuonerà un accordo (astratto-reale) che sarà una nuova rivelazione celeste”.
Il ciclo degli elementi. Sarà il viaggio esplorativo di Loredana, all’insegna di un’artigianalità fatta di perizia manuale e irrefrenabili impulsi interiori, seppure rigorosamente sorvegliata dal pensiero strutturante, a condurci nel vivo di quel ciclo, nell’insondabile intimità-profondità del fuori. Che è poi – tolta l’ipoteca mitica - la natura stessa, intesa quale corpo metamorfico dotato di moto proprio e di configurazioni capricciosamente asemantiche, non sempre disposta quindi a farsi irretire dalla ragion prospettica. Coglie nel segno Claudio Nembrini quando nota: “Un viaggio verso la natura, dentro le sue viscere, i suoi grovigli, la sua sostanza fisica; ma con l’impeto leggero di chi è sospinto dall’aria, dalla luce, dal sole, dai colori”. E a ragion veduta il critico richiama, quanto alla formazione dell’artista, il magistero di Klee – suo è il clima “poeticamente fantastico” che impregna atmosfere e paesaggi - o quello, più vicino e vissuto in prima persona, di Massimo Cavalli, cultore da parte sua di una rarefazione-trasfigurazione estrema della “materia organica”.
Miniature dell’arciterra perduta-e-riemergente, ciascuna racchiusa nel suo involucro visivo - piccolo o grande, non importa - ma collegate tra loro in un’ideale ghirlanda. Prima di affidarle al segno grafico e pittorico, Loredana ricava dallo stesso grembo di natura – fedelmente ai presupposti - i pigmenti, le carte, gli elementi materiali che serviranno all’esecuzione dell’opera. Lo mette in rilievo Maria Will, in un appunto critico: “Il fatto poi che li ricavi (carte e inchiostri) facendo capo a ingredienti che lei stessa raccoglie nel bosco piuttosto che nell’orto di casa introduce un ulteriore importante orientamento per leggere il suo lavoro nel rapporto con la natura e nella necessità di questo rapporto”.
A indicare una via, infine, ci penserà l’evoluzione seriale delle immagini. Serialità di finestre aperte che si osservano a vicenda, per poi insieme rivolgersi a uno spazio ‘altro’ dal cui invisibile Abgrund sembra trapeli un’eco, come nella suite Ovali qui riprodotta. Complicità tra formazioni visive che, modulandosi, lasciano scorrere impronte e semi, l’ambiguo retaggio iconico dell’Arché. Ma non solo, dal momento che la virtù condensativa espressa dalla singola opera è tale da condurre in superficie anche la vita inconscia del soggetto, nel suo compenetrare le vastità cosmiche. “La natura è l’anima inconscia” dice Jung. E allora sarà difficile eludere i riverberi fantasmagorici di questa avventura, l’incontro del soggetto con il suo altro senza limiti: mormorii cromatici, sensualità materiche, trecce di un’onto-filogenesi lasciate fluttuare nel vento dell’arte.
Ogni disegno, ogni tela è un ideale vas coniunctionis di mondo e psiche. Nei margini curvi di Ovali, per esempio, andranno a convergere i parametri della volumetria terrestre, d’un tratto svelata, e il senso di un individuale agire. La festa dei colori si apparecchia. Sarà l’artista a decretarne lo svolgersi, lasciando che ogni elemento cromatico si rifranga nel suo contiguo e ne diventi il bordo. E così via, dentro una profluvie di tessere-petali, o rarefatte lamine, che si sovrappongono, slittano, creano ritmi. Senonché la trasmutazione dei colori è operazione prettamente alchemica – dalla nigredo all’albedo e oltre, attraverso il purificarsi dell’intero spettro secondo una millenaria tradizione - e allora pare giusto onorare il maggiore studioso italiano novecentesco dell’esoterismo. InOmaggio a Elemire Zolla, dove febbricitanti sostanze sembrano decantarsi in vista dell’aurea meta, un debito ideale è saldato.
E alchemico è il vaso in quanto tale, perché esso richiama l’opus, il lavoro degli adepti. La sua forma, semisfera o solido affine, simboleggia pure la terra. Sarà sufficiente all’artista per evocare la coreografia illimitata di Pangea, un’idea persistente di totalità. Capiremo allora le motivazioni profonde che hanno spinto Loredana a farsi ceramista, a estendere il suo mondo progettuale oltre le due dimensioni. Orizzonti mossi, vastità di solidi mari azzurri, ecco i Vasi Noël, per salpare di nuovo. Verso l’inquieta matrice.
esiti alterni finge nel certame
quotidiano con la terra, ma solo lei gira
e la posta non varia per umano capriccio
di lanterna
INTRODUZIONE DI ALESSANDRO SOLDINI ALL’ESPOSIZIONE ALL’ ART ON PAPER
“PRELUDIO E CORRENTE PER ANTONI” DI GILBERTO ISELLA
INCISIONI DI LOREDANA MÜLLER DONADINI 20 novembre 2012 a Pradiso-Lugano-Ti/CH)
Da diverso tempo seguo in maniera assidua la ricerca artistica di Loredana Müller, soprattutto nel campo dell'incisione e del libro d'artista. Gilberto Isella lo conosco e lo seguo da una vita.
Sapevo del loro progetto di una pubblicazione su Gaudì per aver visto alcune prove incise e successive varianti (prove di stato) nell'atelier di Loredana. Avevo anche avuto il piacere di poter scorrere la serie pressoché completa dell'Omaggio a Gaudì per le Edizioni di Josef Weiss, raffinatissime, curate nei minimi dettagli, come avevo potuto constatare in più occasione, in particolare nelle due mostre che lo hanno visto (co)protagonista alla Biblioteca Salita dei Frati. In
Sempre nell'atelier di Loredana avevo avuto il privilegio di sfogliare in anteprima alcuni esemplari di Per sponde d'azzurro, la piccola “plaquette de dialogue”, nata dall'entusiasmo di Loredana, che prende il titolo dalla poesia di Gilberto con cui dialoga.
Non mi attendevo però di essere coinvolto in questa presentazione. Ma ho capitolato senza opporre troppa resistenza, attratto dalla figura di Gaudì e dall'amicizia che mi lega agli autori.
Un aneddoto: la morte di Gaudì in un disegno a china senza titolo di Gunter Böhmer
Vi racconterò innanzi tutto un piccolo episodio, un aneddoto. Lo scorso anno, quando allestii la mostra del centenario di Gunter Böhmer, il pittore amico di Hesse, che ha vissuto in Collina d'Oro dal 1933 fino alla morte nel 1986, avevo riservato la posizione centrale a un'opera molto intrigante, che come tutti i disegni di Böhmer recava l' “esplicita” menzione “senza titolo”: un'architettura slanciata, quasi astratta, che si staglia verso il cielo suggerendo l'impressione di qualcosa di non finito o una rovina (un'allusione, magari, alle distruzioni subite da Dresda, città natale dell'artista). Nel cielo accanto, appena accennata, un moltitudine di volti, volti che guardano e non vedono e altre persone che sembrano essere indaffarate, insensibili a ciò che le circonda. In primo piano la sagoma allusa di un vecchio tram e un barbone che giace al suolo. L'enigma del significato di questo grande disegno a china si è sciolto quando, quasi per caso, un visitatore colto mi disse: “ma questa non è forse la morte di Gaudì”. Lo era! Ecco scoperto il significato dell'opera, non la distruzione di Dresda ...
Voi tutti sapete che Gaudì dal 1914 si dedicò esclusivamente alla costruzione, ai lavori della Sagrada Família, accentuando la sua tendenza alla solitudine, tanto da vivere in una stanzetta nel cantiere. Il 7 giugno del 1926 fu investito da un tram. Il suo miserevole aspetto ingannò i soccorritori, i quali lo credettero un povero vagabondo e lo trasportarono all'ospedale della Santa Croce, un ospizio per i mendicanti fondato dai ricchi borghesi della Catalogna. Fu riconosciuto soltanto il giorno successivo dal cappellano della Sagrada Família. Quando ormai era troppo tardi. Morì l'indomani, il 10 giugno.
Come non citare la conclusione del preludio nel volume di poesie di Gilberto Isella “Preludio e corrente per Antoni”:
Ho origliato alle tane dei grandi maestri. Pagine scoscese d'architettura, cordigliere per sguardi bassi. Oggi il lume non pareggia i contrafforti. Seguo l'astuzia di una parallasse. Mi rifugio sotto i portici di Plaça Reiàl. Un mendicante morto mi segue, nell'ombra.
Nulla oltre la sagoma d'oro - nell'ombra – del mendicante morto.
Nulla oltre il tetragramma che scintilla sopra le rovine: l'ora compiuta.
Scisso, come il quaderno dove riposa il mondo.
Come il mio corpo sotto la spietata carezza di un tram.
Non io, macchia di un seme. Non l'altro, il benvenuto.
Nessuno terminerà la Sagrada.
Il poeta che ispira
Siccome il caso non accade mai per caso, anzi il caso ti cerca o lo cerchi, eccomi a parlare delle opere che hanno messo a confronto lo scritto e le poesie di Gilberto, da un lato e le incisioni di Loredana, dall'altro.
Non ho particolari titoli per improvvisarmi critico letterario e parlarvi delle poesie di Gilberto. Ma una cosa ve la voglio dire. Qui parla anche l'esperienza vissuta sin dall'inizio, nel corso di quasi un decennio, dei due libri-cartella d'artista realizzate da Alessandra Angelini con Gilberto Isella. Gilberto è un poeta amato, molto amato dagli artisti. Leggendo la rivista d'artista 'a camasce, di cui sono apparsi per scelta editoriale tra il 2002 e il 2009 solo sette numeri, mi sono imbattuto in una conversazione tra Castor Seibel e Francis Ponge, in cui Seibel afferma, rifacendosi a Eluard, che “Le poète n'est pas, avant tout, celui qui est inspiré, c'est celui qui inspire les autres”. Vi risparmio altre citazioni di quella conversazione, poiché ritengo che questa citazione si attagli alla perfezione alla poesia di Gilberto, ricca di flash, di stimoli “aperti”, che invitano a liberare la propria immaginazione, che sollecitano la fantasia dell'artista a spiccare il volo.
Gilberto vi leggerà in seguito alcuni brani delle sue poesie. Sono certo che coglierete il senso della mia affermazione, forse un po' troppo perentoria o entusiasta.
Un grande progetto: da un “grand livre” a tre pubblicazioni che formano un'unità ideale
Già da tempo Loredana, pensando alle poesie di Gilberto, stava progettando un libro d'artista, inizialmente concepito di grande formato, come si può vedere dalle prova di stampa dell'incisione pensata come copertina.
Si è poi fatta strada l'idea di una pubblicazione a più registri, articolata a più livelli o, se preferite, di più pubblicazioni che, nella mente di chi le ha ideate, costituiscono un tutt'uno.
Abbandonato il progetto di un libro d'artista di grande formato, costoso e di complessa realizzazione - libri simili richiedono una progettualità curata nel minimo dettaglio e l'intervento di provetti artigiani a supporto della creazione artistica e della stampa del testo – ha preso corpo il progetto che viene presentato in questa mostra, costituito da tre diverse pubblicazioni che formano un unico corpo:
- il volumetto delle Edizioni di Josef Weiss
- una plaquette, nata dalla passione di Loredana ed edita da Pangeart, in cui le sue incisioni dialogano con una poesia di Isella, una plaquette più castigata rispetto a quella delle Edizioni di Josef Weiss, ma a suo modo affascinante nel suo rigore quasi francescano.
- e la pubblicazione interamente stampata (testo e immagini) con procedimenti tipografici per le Edizioni Salvioni, con un testo introduttivo e una silloge di una ventina di poesie di Gilberto Isella, accompagnate - le poesie- da riproduzioni di incisioni o frammenti di incisioni di Loredana. Una pubblicazione che, come vedremo, completa e compendia i due volumetti con ognuno un'incisione originale.
Un dialogo bidirezionale tra poeta e artista, anzi un dialogo a tre sotto l'egida del Grande Architetto del “non finito”, della sfida alle leggi della gravità, della ricerca dell' “impossibile”
Ma che cosa è un libro d'artista? Non voglio tediarvi sulla “querelle” dialogo-confronto tra poeta e artista, tra artista e poeta.
Libro di dialogo innanzi tutto perché è nato da una comunità d'intenti, da una vissuta complicità tra lo scrittore e l'artista, attorno alla figura e all'opera del grande Antoni Gaudì e dell'opera che più d'ogni altra lo connota, la Sagrada Familia, eclissandone altre altrettanto significative nella storia dell'architettura catalana, e non solo, del XX secolo. Anzi, si potrebbe addirittura affermare che in questo caso ci si trova di fronte a un dialogo a tre, in cui sia il poeta sia l'artista traggono ispirazione da Gaudì, in un contesto di rara sintonia d'intendimenti, in un'atmosfera di partecipata complicità, .
Ho avuto anche la fortuna di poter consultare la bozza originale di Loredana e di toccare con mano quali siano state le parole e i versi di Gilberto che l'hanno colpita, che sono state per lei inesauribile fonte creativa: la materializzazione di quanto andavo dicendo con la citazione “Le poète n'est pas, avant tout, celui qui est inspiré, c'est celui qui inspire les autres”.
Ho già menzionato il preludio di Isella al suo volume di poesie “Preludio e corrente per Antoni”:
Tutto il Preludio sarebbe da leggere: i suoi continui accenni al non finito, a una creatività che non
pone limiti all'immaginazione.
“una sola vertigine (...)”, “un domani senza confini (...)”, “Euclide non insegna lo spazio (...)”
Ma anche poesie che hanno particolarmente colpito Loredana quali “Occulta maschera di zinco”, “Insalatiera di rovine”, “parte come un sibilo inguinale” in cui si legge:
“e la cupola d'ego/ che abborda un sé troppo aperto / per sostenerla”
Da leggere sarebbe anche la poesia “per sponde d'azzurro e tappeti / d'altre geometrie”, che nella plaquette edita da Pangeart” colloquia con l'immagine, le immagini create da Loredana Müller.
E non possiamo nemmeno dimenticare il testo di Gaudì, tratto dai brani raccolti da Puig Boada, che dialoga con Loredana nella plaquette della raffinate Edizioni di Josef Weiss, svelando e rivelando la vera natura, il significato dello scheletro che appare con insistenza in molte incisioni:
Per conoscere la verità,/occorre studiare a fondo le cose./ La bellezza è vita,/
e la vita si manifesta nella figura umana in movimento./ Nell'uomo la parte che si muove è lo scheletro,/ insieme di leve mosse dai muscoli./ L'espressività è conferita dallo scheletro; il resto è vestiario.
e a seguire il parallelo con architettura e stabilità.
Loredana: maestria tecnica e sperimentazione. Oltre l'ortodossia calcografica ...
Loredana, grande conoscitrice delle più diverse tecniche incisorie, farebbe storcere il naso ai puristi dell'incisione. Loredana non è un'esponente dell'ortodossia incisoria più pura, è incisore che ama sperimentare senza porsi limiti aprioristici, che ha il coraggio di azzardare soluzioni innovative, innovative, di lambire e persino affrontare, come si legge nella scheda di presentazione, il tema della “ir-riproducibilità dell’arte”, usando con assoluta libertà, unita a grande maestria, tecniche incisorie vecchie di secoli.
Ogni stampa nasce dall'incisione di più lastre incise, tre, talvolta quattro, a registro libero, tutte incise ricorrendo sapientemente a diverse tecniche, alcune delle quali poco praticate. E qui si situa la scelta eterodossa di Loredana: non solo nella scelta dell'inchiostrazione con colori di volta in volta diversi, ma anche la rinuncia a punti di reperimento (registro) prestabiliti, a quei punti che consentono la ripetizione dell'immagine, il multiplo originale, incisione, praticamente sempre uguale, tratta da una o più matrice stampate allo stesso modo.
Inchiostrazioni diverse e libera sovrapposizione di lastre hanno prodotto una serie di immagini uniche, una serie di immagini tutte diverse ma pur sempre appartenenti a uno stesso ciclo. Immagini che danno luogo a un coro di voci, che forse costituiscono l'interpretazione più autentica degli stimoli creativi lanciati dai versi di Gilberto e dal non finito, dall'immaginario che evoca l'opera di Gaudio, la Sagrado Famiglia. Una molteplicità di stampe, tutte originali, da quella maggiormente fedeli ai canoni classici dell'incisione a quelle che invece, grazie la scelta degli inchiostri e alla libera sovrapposizione delle diverse lastre si rivelano maggiormente pittoriche, che si avvicinano maggiormente all'opera pittorica di Loredana, che pure è una componente importante, essenziale del suo percorso artistico, della sua ricerca a tutto campo.
Dal multiplo alla serialità tematica fatta di infinite variazioni sul tema
Vi confesso, ne passant, che questa serie di immagini uniche mi ha fatto ricordare, non so per quale recondita ragione, una delle serie di immagini più famose, la serie degli “Ôtages” di Fautrier, “hautes pâtes”, tutte diverse e tutte simili, nate in circostanze verso la fine della 2.a guerra mondiale, in cui campeggia al centro sempre una forma ovoidale biancastra, un teschio che allude alla tragedia che si era compiuta o che si stava ancora compiendo.
Preludio e corrente per Antoni: la silloge del poeta e l'adesione delle immagini al testo
Nel volume “Preludio e corrente per Antino” - già il titolo in sé è un invito alla libera interpretazione degli stimoli che scaturiscono dall'opera di Gaudì e dal testo di Isella. Qui la scelta delle immagini che dialogano con le poesie ha seguito un percorso più serrato. Loredana ha scelto, nella misura del possibile, per ogni poesia quell'immagine o quel particolare, ricavato dalle incisioni delle plaquette, che meglio dialoga con il testo a fronte, andando al di là di quella comune atmosfera di complicità suggerita, anzi creata dall'opera aperta, non finita di Gaudì.
Forzando un po' le cose, se nelle plaquette il dialogo è racchiuso in un'atmosfera, in un'aura che accomuna poeta e artista nel segno di Gaudì, nel volume della Edizioni Salvioni, anche e proprio per la natura stessa della pubblicazione, il dialogo si fa più puntuale.
A questo punto non è il caso di dire altro, per es. sulla scelta delle carte do pregio, non soltanto per le edizioni con incisioni originali ma anche per il volume edito da Salvioni, e così di seguito. Preferisco invitarvi a osservare, a “leggere” con attenzione i testi e le incisioni esposte in questo particolare spazio, come fossero i tasti di un pianoforte. Vi invitano a riflettere e non mancheranno di suggerirvi, ogni volta che vi avvicinerete, stimoli e visioni sempre nuovi e inattesi.
a.s. Gentilino versione 19.11.2012